Racconti e sogni...
Scrivo per raccontare esperienze, osservazioni e idee di tutti i giorni tramite storie inventate. Le fiabe e i racconti sono immagini della vita, una lingua diversa per trasmettere qualcosa. A volte ne ricaviamo una morale, altre delle domande su cui riflettere, oppure delle semplici emozioni. Scrivete storie...qui saranno le benvenute. In fondo sono un po' come i sogni. Ed è bello sognare insieme.
venerdì 13 settembre 2013
Papà?
Tutto questo non significava granché per Lucy, che sapeva a memoria quella strada. Non ci faceva neanche caso. Qualche volta guardava le automobili parcheggiate davanti alle case... e che automobili! Audi, Mercedes, Jaguar. Ma neanche le macchine significavano qualcosa per lei, in realtà non le piacevano proprio, erano tutte nere o grigie come quella di papà. Lei cercava quella rossa, quella sì che era bella colorata, le piaceva davvero un sacco, anche se non era sicura di poterci salire visto che non aveva i sedili posteriori. Peccato, ma quando sarebbe cresciuta ci sarebbe salita di sicuro!
Quel giorno non incontrò la madre, né avvistò la macchina rossa che tanto le piaceva, ma non importava. Aveva un pomeriggio libero davanti a sé da passare nascosta in camera sua con tutti i giochi che aveva pazientemente conservato nel suo scatolone magico nascosto dove solo lei sapeva. Arrivò a casa in fretta (la sua non aveva la macchina parcheggiata fuori) e salì i gradini dell'ingresso lasciandosi alle spalle il giardino. Aveva le chiavi, aprì. «Mamma!...». Nessuna risposta, sarà di sopra. Benissimo, perché tanto anche lei doveva andare al primo piano, in camera sua. Prese a salire le scale, due rampe, e, giunta a metà strada, chiamò ancora: «Mamma!!».
«Sì, tesoro! Sono in camera... ma...», passò qualche istante. «...ma vai pure a giocare in camera tua, adesso vengo a salutarti.».
Il tono era frettoloso. Lucy lo sapeva, lo conosceva. Non lo voleva, ma lo capiva.
Lasciò lo zaino nel corridoio, lo avrebbe ripreso più tardi, a chi avrebbe dato fastidio? La sua camera era un più avanti, ma scelse di entrare in quella della madre. Dentro era quasi buio, la luce del sole nascosta da pesanti tende scure tirate davanti alle finestre. Richiuse la porta. La stanza era grande, Lucy si sentiva piccola piccola quando vi entrava, ma quel giorno sua madre era ancora più piccola. Lucy la trovò seduta sul letto dove normalmente avrebbe dovuto esserci il cuscino, ora stretto fra le sue braccia, le ginocchia rannicchiate contro il corpo, i piedi nudi sulle coperte. Quando si avvicinò, Lucy aveva la fronte poco più in alto rispetto a quella della madre. Mamma, quel giorno, sembrava una bambolina, di quelle di porcellana, quelle con cui non si deve giocare perché si rompono. Il suo viso luccicava appena, anche con la poca luce, proprio come la porcellana, le guance bagnate in strisce sottili. A Lucy sembrò che un suo abbraccio sarebbe bastato a stringerla tutta. Ci provò.
«Mamma, perchè piangi?», lo sapeva già.
«Piccola mia... non voglio che tu mi veda ancora così... non è giusto...». A Lucy non importava.
«Ha detto che torna stasera, vero?».
«Sì... stasera facciamo cena insieme.».
Si abbracciarono. Più forte.
lunedì 15 luglio 2013
La vela bianca
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domenica 14 luglio 2013
Chi sei?
lunedì 25 marzo 2013
Riflessioni di James Cook
Sulla nave, pochi uomini erano al lavoro. La preparazione per la partenza era ancora lontana. James, però, non lasciava quella che riteneva la sua vera casa. La HMS Resolution, questo era il nome della sua casa, non l'aveva abbandonato negli ultimi due anni, anche in mari maledetti e mai attraversati.
Quello intrapreso, era il secondo grande viaggio di James Cook. Il primo era interamente documentato nei suoi diari di bordo, diventati, in patria, un punto di riferimento anche per la comunità scientifica, grazie ai contenuti trasversali tra scienza, politica e arte della navigazione. Singolare era il fatto che una vasta fonte di conoscenza come quella, fosse nata dalla penna di un uomo la cui istruzione era minima, appena sufficiente per entrare nella Royal Navy.
Forse il suo amore per la scrittura era la naturale conseguenza di un animo inquieto. Alcuni raccontavano di lui come di un ragazzo schivo, abituato, negli anni della giovinezza, a lasciare il piccolo villaggio in cui viveva per inerpicarsi sulle colline circostanti, in cerca della solitudine che tanto amava. Ora si inerpicava sulla torre di comando della sua nave, ed era lì che incontrava il suo diario.
Non era periodo di appunti di scienza, né di viaggio. Rifletteva. Era un'altra volta circondato da mari nuovi, ma questa era la sua vita. Oggi guardava avanti, guardava al viaggio che doveva affrontare, ne analizzava le motivazioni nell'attesa costante di potersi finalmente muovere ancora. Il suo amore era per il viaggio in sé o per la patria e la missione? Non c'erano dubbi. Non c'era in lui un interesse per scoprire, ammesso che ci fosse, il nuovo continente. Non aveva provato niente per il primato ottenuto mesi prima.
Viaggiava e lo faceva per sé. Gli sembrava di essere libero, padrone effettivo della sua esistenza. Neanche lui sapeva da cosa scappava, forse non scappava, forse in cima a quella collina e in mezzo ai mari incontrava qualcosa che diversamente non poteva vedere. Raccontò a quelle pagine bianche di quanto era limitante dover viaggiare al servizio di qualcun'altro e di quanto, però, fosse utile per continuare e non fermarsi mai. Non si sarebbe mai fermato e così si poteva riassumere la sua vita. Non gli importava nulla di quello che andava a fare là fuori, quello che contava era la sua corsa. Doveva continuare a correre. Forse quel diario non l'avrebbe consegnato a fine viaggio...
lunedì 18 marzo 2013
Come se niente fosse
Finché un giorno pensò che avrebbe dovuto ignorare il male.
Combatteva come se non avesse mai combattuto per lei.
Abitava il castello come se in quel castello non avesse mai abitato con lei.
Dormiva come se non avesse mai dormito al fianco di lei.
Aveva così imparato a nascondere dietro un velo scuro la presenza del passato.
Eppure il tempo non gli diede ragione. Convinto com'era di essersi liberato dalla sofferenza, il principe si era invece addentrato in qualcosa di ben peggiore. Viveva la sua vita fuggendo, nascondendosi dall'unica cosa da cui non è possibile nascondersi: noi stessi.
Il principe, che era tanto abituato a passare accanto al suo passato come se niente fosse, non si accorse che giorno dopo giorno la sua intera vita divenne un "come se niente fosse", in cui nulla trovava significato, nulla poteva più risvegliare un sentimento. Non capì mai di essere il risultato del suo passato. Non capì che, ignorandolo, avrebbe ignorato se stesso.
Del principe, si perse presto ogni traccia. Non che fosse scomparso, era sempre lì, nel suo castello, ma mai nessuno riuscì più a parlare con quell'uomo che un tempo era il principe.
Andrea
domenica 3 febbraio 2013
La nostra forza
Io non credo che non si possa fare niente per crescere, per essere felici o per cambiare le cose.
Oggi ho visto un nonno camminare tenendo per mano il suo piccolo grande orgoglio.
In passato, ho conosciuto persone che hanno stravolto il normale concetto di vita normale perchè per loro normale è qualcosa di diverso.
Ci sono persone che inseguono un sogno solo perchè quel sogno è la loro stessa vita... per nulla al mondo si fermerebbero.
Qualcuno si commuove per una canzone, una parola, un gesto intravisto ma mai dimenticato.
Sono tante le cose che possono donarci un'emozione per cui valga la pena di affrontare difficoltà anche grandi e mi rattrista sapere che qualcuno pensi anche solo per un momento di arrendersi alla vita. Forse sono troppo giovane, forse non ho ancora vissuto esperienze così gravi da pensare di fermarmi, eppure credo che una via ci sia sempre. Non sarà sempre tutto facile, ma ce la facciamo no? Mi piacerebbe che non ci fosse più bisogno di chiedersi perchè si debba andare avanti con tanta fatica. Vorrei che la risposta fosse ovvia, che fosse evidente che lo si fa per poter vivere tutte le cose belle che ci succederanno e che neanche immaginiamo.
...perchè non ce ne dovrebbe importare nulla di passare una giornata da schifo se la sera ci viene donato un sorriso. Non importa quanta fatica facciamo se questa ci permetterà anche un semplice momento bellissimo.
Tanto nella vita c'è sempre un po' di salita, questo l'ho capito anch'io quando avevo pochi anni in più di quel bambino che ho visto oggi col nonno. Si fa sempre fatica quindi sarebbe meglio capire che lo facciamo per un motivo. Lo facciamo per noi stessi e per ciò che amiamo, qualsiasi cosa sia. Non è un'inutile frase fatta, è così davvero, ti chiedo di pensarci.
Questa è la nostra personale forza per guardare sempre avanti.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.
Andrea