venerdì 13 settembre 2013

Papà?

Quel giorno la bambina si avviò verso casa da sola. Lo faceva sempre quando non trovava nessuno ad aspettarla all'uscita della scuola, la sua casa non era affatto lontano. L'edificio che ospitava le scuole primarie in cui lei frequentava le lezioni, si trovava nella zona collinare della città, lontano dal traffico delle vie del centro ed affacciato su un lungo viale alberato. Le piante erano maestose, dei veri giganti agli occhi degli alunni, ed ogni giorno garantivano a Lucy delle piacevoli passeggiate verso casa, protetta sole prematuramente caldo di metà primavera. Lucy sperava, e molte volte succedeva, di incontrare la madre che le veniva incontro durante i cinque minuti di cammino che la separavano da casa, altrimenti si sarebbe annoiata, a dispetto del paesaggio che sicuramente sarebbe piaciuto a qualsiasi adulto. Due lunghi schieramenti di abitazioni signorili sorvegliavano il viale, non troppo vicine al marciapiede per lasciare spazio ad ampi e curatissimi giardini, ma abbastanza visibili da poterne ammirare la bellezza.
Tutto questo non significava granché per Lucy, che sapeva a memoria quella strada. Non ci faceva neanche caso. Qualche volta guardava le automobili parcheggiate davanti alle case... e che automobili! Audi, Mercedes, Jaguar. Ma neanche le macchine significavano qualcosa per lei, in realtà non le piacevano proprio, erano tutte nere o grigie come quella di papà. Lei cercava quella rossa, quella sì che era bella colorata, le piaceva davvero un sacco, anche se non era sicura di poterci salire visto che non aveva i sedili posteriori. Peccato, ma quando sarebbe cresciuta ci sarebbe salita di sicuro!
Quel giorno non incontrò la madre, né avvistò la macchina rossa che tanto le piaceva, ma non importava. Aveva un pomeriggio libero davanti a sé da passare nascosta in camera sua con tutti i giochi che aveva pazientemente conservato nel suo scatolone magico nascosto dove solo lei sapeva. Arrivò a casa in fretta (la sua non aveva la macchina parcheggiata fuori) e salì i gradini dell'ingresso lasciandosi alle spalle il giardino. Aveva le chiavi, aprì. «Mamma!...». Nessuna risposta, sarà di sopra. Benissimo, perché tanto anche lei doveva andare al primo piano, in camera sua. Prese a salire le scale, due rampe, e, giunta a metà strada, chiamò ancora: «Mamma!!».
«Sì, tesoro! Sono in camera... ma...», passò qualche istante. «...ma vai pure a giocare in camera tua, adesso vengo a salutarti.».
Il tono era frettoloso. Lucy lo sapeva, lo conosceva. Non lo voleva, ma lo capiva.
Lasciò lo zaino nel corridoio, lo avrebbe ripreso più tardi, a chi avrebbe dato fastidio? La sua camera era un più avanti, ma scelse di entrare in quella della madre. Dentro era quasi buio, la luce del sole nascosta da pesanti tende scure tirate davanti alle finestre. Richiuse la porta. La stanza era grande, Lucy si sentiva piccola piccola quando vi entrava, ma quel giorno sua madre era ancora più piccola. Lucy la trovò seduta sul letto dove normalmente avrebbe dovuto esserci il cuscino, ora stretto fra le sue braccia, le ginocchia rannicchiate contro il corpo, i piedi nudi sulle coperte. Quando si avvicinò, Lucy aveva la fronte poco più in alto rispetto a quella della madre. Mamma, quel giorno, sembrava una bambolina, di quelle di porcellana, quelle con cui non si deve giocare perché si rompono. Il suo viso luccicava appena, anche con la poca luce, proprio come la porcellana, le guance bagnate in strisce sottili. A Lucy sembrò che un suo abbraccio sarebbe bastato a stringerla tutta. Ci provò.
«Mamma, perchè piangi?», lo sapeva già.
«Piccola mia... non voglio che tu mi veda ancora così... non è giusto...». A Lucy non importava.
«Ha detto che torna stasera, vero?».
«Sì... stasera facciamo cena insieme.».
Si abbracciarono. Più forte.

lunedì 15 luglio 2013

La vela bianca

Nota: ma vi pare che a 15 anni dovevo mettermi a scrivere ste cose? =) =) questo è un ritrovamento nella giurassica memoria del pc di mio padre!

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LA VELA BIANCA

Sono qui seduto
Nella culla di onde lontane
E il vento non sa parlarmi
Che d’amore…

Inesorabile è il cuore,
Malinconico al tramonto
Di un sole troppo solo
Per non esser triste.

Non c’è silenzio,
Non c’è quiete,
Non una parola
Che mi sia amica.
Soltanto un’immagine
Riflessa nei flutti
Di un porto abbandonato
E nessuna nave.

Non ci sarà
Una vela bianca
contro il cielo,
Corone di gabbiani,
Né strascichi infiniti
Ad infrangere il mare.

Non ci sarà
La vita lontana di una donna,
La vita che non sarà la mia,
Baciata da una stella,
Una stella che ora muore.

Sono qui seduto
Ad ascoltare le maree,
a nascondere la mia vita
in un foglio.

Un sentimento di speranza
Una debole e meschina luce
Illusione di passioni
In cui non credo più.

Un sogno di poeta,
delirio di un folle,
suono di uno strumento
che non ha voce.
Soltanto l’amarezza
Di un ritratto spento
Una lacrima di un uomo
E nessuna nave

Non ci sarà
Una vela bianca
contro il cielo,
Corone di gabbiani,
Né strascichi infiniti
Ad infrangere il mare.

Non ci sarà
La vita lontana di una donna,
La vita che non sarà la mia,
Baciata da una stella,
Una stella che ora muore.

Chi mi darà la forza?
Dove trovo la volontà?
Ora so e non ho più dubbi,
Eppure resto immobile
Sulla mia pietra…
Chissà che un giorno non rivedrò
Quella vela bianca.

domenica 14 luglio 2013

Chi sei?

"Chi sei?"

Riusciremmo a rispondere a questa domanda?

Non risponderei "Un banchiere", "Un medico" o "un pensionato" perchè quello lo possono essere tutti. No, risponderei che sono una persona che ha qualche passione, che è innamorata, che ha dei figli... Parlerei di cosa mi  ha cambiato la vita e che di piú mi identifica per quello che sono oggi.

Che bello se anche le altre persone parlassero così di noi, non trovate? Venire ricordati per ciò che davvero siamo e che nessun altro è.

lunedì 25 marzo 2013

Riflessioni di James Cook

Mentre nella madrepatria inglese i suoi superiori della Royal Society si godevano qualche spicchio di sole estivo, James Cook si trovava in Nuova Zelanda ed era pieno inverno. In Inghilterra erano convinti che un grosso continente meridionale fosse ancora da scoprire, esplorare e colonizzare. La prima fase era stata affidata proprio a James, che nel 1772 si imbarcò verso sud riuscendo, qualche mese dopo, nell'impresa di essere il primo uomo a superare il circolo polare antartico. Ora la sua nave era ancorata in attesa di poter dispiegare nuovamente le vele, evento previsto per la successiva estate. Novembre 1774, pensava James. Fino a quel momento nessuna nuova terra era stata avvistata dall'albero maestro, nessuna bandiera sventolava su nuovi continenti o, per meglio dire, nuove colonie dell'impero di Sua Maestà.
Sulla nave, pochi uomini erano al lavoro. La preparazione per la partenza era ancora lontana. James, però, non lasciava quella che riteneva la sua vera casa. La HMS Resolution, questo era il nome della sua casa, non l'aveva abbandonato negli ultimi due anni, anche in mari maledetti e mai attraversati.
Quello intrapreso, era il secondo grande viaggio di James Cook. Il primo era interamente documentato nei suoi diari di bordo, diventati, in patria, un punto di riferimento anche per la comunità scientifica, grazie ai contenuti trasversali tra scienza, politica e arte della navigazione. Singolare era il fatto che una vasta fonte di conoscenza come quella, fosse nata dalla penna di un uomo la cui istruzione era minima, appena sufficiente per entrare nella Royal Navy.
Forse il suo amore per la scrittura era la naturale conseguenza di un animo inquieto. Alcuni raccontavano di lui come di un ragazzo schivo, abituato, negli anni della giovinezza, a lasciare il piccolo villaggio in cui viveva per inerpicarsi sulle colline circostanti, in cerca della solitudine che tanto amava. Ora si inerpicava sulla torre di comando della sua nave, ed era lì che incontrava il suo diario.
Non era periodo di appunti di scienza, né di viaggio. Rifletteva. Era un'altra volta circondato da mari nuovi, ma questa era la sua vita. Oggi guardava avanti, guardava al viaggio che doveva affrontare, ne analizzava le motivazioni nell'attesa costante di potersi finalmente muovere ancora. Il suo amore era per il viaggio in sé o per la patria e la missione? Non c'erano dubbi. Non c'era in lui un interesse per scoprire, ammesso che ci fosse, il nuovo continente. Non aveva provato niente per il primato ottenuto mesi prima.
Viaggiava e lo faceva per sé. Gli sembrava di essere libero, padrone effettivo della sua esistenza. Neanche lui sapeva da cosa scappava, forse non scappava, forse in cima a quella collina e in mezzo ai mari incontrava qualcosa che diversamente non poteva vedere. Raccontò a quelle pagine bianche di quanto era limitante dover viaggiare al servizio di qualcun'altro e di quanto, però, fosse utile per continuare e non fermarsi mai. Non si sarebbe mai fermato e così si poteva riassumere la sua vita. Non gli importava nulla di quello che andava a fare là fuori, quello che contava era la sua corsa. Doveva continuare a correre.  Forse quel diario non l'avrebbe consegnato a fine viaggio...

lunedì 18 marzo 2013

Come se niente fosse

Il giovane principe soffriva. Soffriva per la perdita della sua amata e per lungo tempo continuò a combattere con quel dolore, ma niente sembrava poter cicatrizzare la ferita.

Finché un giorno pensò che avrebbe dovuto ignorare il male.

Combatteva come se non avesse mai combattuto per lei.
Abitava il castello come se in quel castello non avesse mai abitato con lei.
Dormiva come se non avesse mai dormito al fianco di lei.

Aveva così imparato a nascondere dietro un velo scuro la presenza del passato.

Eppure il tempo non gli diede ragione. Convinto com'era di essersi liberato dalla sofferenza, il principe si era invece addentrato in qualcosa di ben peggiore. Viveva la sua vita fuggendo, nascondendosi dall'unica cosa da cui non è possibile nascondersi: noi stessi.

Il principe, che era tanto abituato a passare accanto al suo passato come se niente fosse, non si accorse che giorno dopo giorno la sua intera vita divenne un "come se niente fosse", in cui nulla trovava significato, nulla poteva più risvegliare un sentimento. Non capì mai di essere il risultato del suo passato. Non capì che, ignorandolo, avrebbe ignorato se stesso.

Del principe, si perse presto ogni traccia. Non che fosse scomparso, era sempre lì, nel suo castello, ma mai nessuno riuscì più a parlare con quell'uomo che un tempo era il principe.


Andrea

domenica 3 febbraio 2013

Buonanotte lettori!! Come va??

Rinnovo le mie scuse per la mia attività moderata, ma ancora per qualche giorno avrò molti impegni!

Intanto il blog festeggia il suo primo mese! Spero vi sia piaciuto ciò che sono riuscito a scrivere in questo periodo!

Ciao a tutti, buonanotte!

Andrea

La nostra forza

Io non credo che non si possa fare niente per crescere, per essere felici o per cambiare le cose.

Oggi ho visto un nonno camminare tenendo per mano il suo piccolo grande orgoglio.
In passato, ho conosciuto persone che hanno stravolto il normale concetto di vita normale perchè per loro normale è qualcosa di diverso.
Ci sono persone che inseguono un sogno solo perchè quel sogno è la loro stessa vita... per nulla al mondo si fermerebbero.
Qualcuno si commuove per una canzone, una parola, un gesto intravisto ma mai dimenticato.

Sono tante le cose che possono donarci un'emozione per cui valga  la pena di affrontare difficoltà anche grandi e mi rattrista sapere che qualcuno pensi anche solo per un momento di arrendersi alla vita. Forse sono troppo giovane, forse non ho ancora vissuto esperienze così gravi da pensare di fermarmi, eppure credo che una via ci sia sempre. Non sarà sempre tutto facile, ma ce la facciamo no? Mi piacerebbe che non ci fosse più bisogno di chiedersi perchè si debba andare avanti con tanta fatica. Vorrei che la risposta fosse ovvia, che fosse evidente che lo si fa per poter vivere tutte le cose belle che ci succederanno e che neanche immaginiamo.
...perchè non ce ne dovrebbe importare nulla di passare una giornata da schifo se la sera ci viene donato un sorriso. Non importa quanta fatica facciamo se questa ci permetterà anche un semplice momento bellissimo.

Tanto nella vita c'è sempre un po' di salita, questo l'ho capito anch'io quando avevo pochi anni in più di quel bambino che ho visto oggi col nonno. Si fa sempre fatica quindi sarebbe meglio capire che lo facciamo per un motivo. Lo facciamo per noi stessi e per ciò che amiamo, qualsiasi cosa sia. Non è un'inutile frase fatta, è così davvero, ti chiedo di pensarci.

Questa è la nostra personale forza per guardare sempre avanti.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.

Andrea